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LA CARITA'

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La virtù massonica della carità è la caratteristica distintiva del cuore di un Libero Muratore, l’unica virtù che, così come la clemenza, benedice colui che dà, così come colui che riceve.


Una definizione laica della Carità è quella che possiamo ricavare dall’origine etimologica del termine, che deriva dal latino “caritas” che richiama i concetti di benevolenza, affetto e amore, su imitazione del greco “caris” che significa “grazia”.

Diversa, in quanto inquadrata in un ambito che fa riferimento quasi esclusivamente al trascendente, è la definizione che ne da la teologia cristiana secondo cui il termine "carità" rappresenta l'amore nei confronti degli altri; essa realizza la più alta perfezione dello spirito umano, in quanto nello stesso tempo rispecchia e glorifica la natura di Dio, tanto che nelle sue forme più estreme può portare fino al sacrificio di sé.


L’esercizio di questa virtù quindi, in prima battuta, per un Libero Muratore non può prescindere dal rapportarsi con benevolenza e amore nei confronti delle persone che lo circondano, sia verso i Fratelli, sia verso i profani, apprendendo dal proprio volume sacro di riferimento quali importanti doveri abbiamo verso il nostro prossimo, rendendogli ogni cortese servizio che giustizia o misericordia possano richiedere; soccorrendolo nel bisogno, consolandolo nella disgrazia, e comportandoci con lui come vorremmo che lui si comportasse nei nostri confronti.


Carità quindi non significa affatto semplicemente elemosina. Sbaglia lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, a considerarla “umiliante perché viene esercitata in senso verticale e dove capita” contrapponendola alla solidarietà, che invece “è orizzontale e comporta il rispetto reciproco”.


Carità è prima di tutto immedesimazione nei bisogni dell’altro. Attenta scoperta delle necessità altrui e rispettoso, quasi umile, mettersi a disposizione. E’ capacità di ascolto, é abitudine a farsi carico delle preoccupazioni e dei problemi di chi ci sta intorno, prevenendo le loro necessità per non metterli nell’imbarazzo di dover chiedere.


Essere caritatevoli non è fare calare qualcosa dall’altro, ma costruire un ponte sulla reciproca fiducia, condividere, mettere in comunione il proprio con il prossimo.


Significativo è l’esempio di San Martino di Tours che divide il proprio mantello con il mendicante seminudo nel rigido inverno dell’anno 335 D.C. tagliandolo a metà.


Ma questa virtù non limita il suo ambito d’azione alle sole necessità materiali. Come diceva Madre Teresa di Calcutta, “oggi la gente è affamata d’amore, e l’amore è la sola risposta alla solitudine e alla grande povertà. In alcuni paesi non c’è fame di pane, la gente soffre invece di terribile solitudine, terribile disperazione terribile odio, perché si sente indesiderata, derelitta e senza speranza; ha dimenticato come si fa a sorridere; ha dimenticato la bellezza del tocco umano; ha dimenticato cos’è l’amore degli uomini. Ha bisogno di qualcuno che la capisca e la rispetti”.


“Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”, “le parole gentili possono essere brevi e facili da pronunciare, ma il loro eco è davvero infinito” perché “non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo; non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare”.


Ma non basta. La Carità non è reciproca. E soprattutto non è una virtù che si esercita solo con gli amici o con coloro da cui possiamo essere ricambiati.


La si fa a prescindere dal comportamento della persona che la riceve, comportamento inteso sia in senso assoluto, sia parametrato al reciproco rapporto interpersonale. Ben chiaramente lo dice San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: la carità è magnanima verso gli altri perché “non tiene conto del male ricevuto” (1 Cr 13,5).


Molto semplicemente Madre Teresa diceva “se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle”. Nei Proverbi (25,21) si trova addirittura scritto “se il tuo nemico ha fame, sfamalo; se ha sete, dagli da bere”.


E questa è una virtù che va praticata riservatamente. Lapidario è l’insegnamento in merito del Cristo riportato nel Vangelo secondo Matteo (6, 3-4): “Quando fai l'elemosina non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà”.


Possiamo allora sintetizzare con le parole di San Paolo le principali caratteristiche di questa virtù: “la carità è benigna, paziente, non cerca il suo interesse, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non tiene conto del male ricevuto. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.


Si potrebbe considerare questa come una vera e propria virtù eroica, che ci spinge oltre la nostra umanità fino al sacrificio di se stessi.


E’ questa la caratteristica, a mio avviso, che faceva dire a San Paolo “al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione”.


Lo stesso Cicerone diceva che “l’uomo non è mai così vicino agli dei di quando fa del bene al proprio prossimo”. Ed è sempre il più grande oratore romano che nel “De amicitia” ci fa notare come, quando siamo virtuosi, siamo disposti a fare per un amico, quello che non faremmo neppure per noi stessi, persino a mendicare se questo fosse necessario.


Appare chiaro quindi come risulti importante, anzi fondamentale, esercitare questa virtù nel nostro cammino iniziatico di perfezionamento interiore in quanto, per dirla con le parole di Padre Pio, “la carità è la regina delle virtù: come le perle sono tenute insieme dal filo, così le virtù lo sono dalla carità”.


Per terminare giusto due spunti di riflessione sulla natura di questa virtù.

Il primo ha un carattere meramente pratico e operativo e aggiunge un possibile tassello di natura più laica al concetto di carità che finora abbiamo delineato.

Si tratta di una frase pronunciata da Martin Luther King che recita: “La vera misericordia è più che gettare una moneta ad un mendicante, è arrivare a capire che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di ristrutturazioni”.

Il secondo è un ragionamento che cerca di dare una motivazione alla particolare, quasi superiore, natura che viene riconosciuta a questa virtù, il cui esercizio viene visto da tutti, laici e credenti, come strumento quasi indispensabile per perfezionarsi e tendere alla trascendenza.


La Carità non è un premio che viene elargito a chi lo merita, lo abbiamo sentito da San Paolo. Essa, in un certo senso, con il suo integrare un atto totalmente gratuito, libero e privo di giustificazione se non nell’esercizio dell’amore verso il prossimo, costituisce una virtù quasi eversiva rispetto allo stesso ordine massonico ove tutto è regolato da una particolare attenzione alla quantità del salario che ogni Fratello merita.


Essa quasi scardina l’ordine costituito, le regole sociali e di natura, per introdurre un elemento nuovo, la concretizzazione di quel precetto “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” che è la vera “buona novella” del messaggio evangelico.


In un certo senso ogni atto di carità rappresenta allora un piccolo ma significativo miracolo, una interruzione dell’ordine delle cose, delle regole vigenti e comunemente accettate per dare spazio ad un intervento diretto della grazia di Dio, dell’amore incondizionato del Creatore nei confronti della sua creatura, che è così grande da infrangere in taluni casi le stesse regole che Lui stesso si è dato.


Esercitare la virtù della Carità, dunque, in fondo, non è altro che partecipare, seppur di riflesso e in minima parte, alla natura divina, alla immensa grandezza dell’amore del Grande Architetto Dell’ Universo nei confronti dell’umanità.


Ecco perché ci permette, se praticata quotidianamente, nel nostro vivere di tutti i giorni, verso i Fratelli e verso i profani, di percorrere ilo nostro cammino verso l’infinita perfezione.

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