La Fratellanza
”IL CONCETTO DI FRATELLANZA IN UN ORDINE INIZIATICO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE SULLA ALLOCUZIONE DEL GRAN MAESTRO GLRI DEL 05.12.15
Questo lavoro raccoglie delle riflessioni scaturite dalla lettura della allocuzione sul concetto di Fratellanza letta dal Gran Maestro in occasione della Gran Loggia del 05.12.15.
Tra i tanti approfondimenti possibili, l’aspetto su cui voglio attirare la Vostra attenzione è il parallelismo, che troviamo nel testo, tra il concetto di fratellanza in ambito iniziatico e quello di ”amore platonico” nella accezione in cui fu teorizzato e descritto da Marsilio Ficino, filosofo e umanista che visse nella Firenze medìcea nella seconda metà del quattrocento.
Questo autore ebbe la capacità di rendere sincretiche la filosofia platonica e la teologia cristiana fondendo la concezione dualistica del mondo teorizzata dal filosofo greco, basata sulla coesistenza tra corpo e anima, materia e spirito, cosa tangibile e idea astratta della cosa stessa (“eidolon” la definisce Platone), con la fede cristiana, nella parte in cui vede una sostanziale coincidenza tra trascendenza e divino.
Ficino recupera dal pensiero di Platone il concetto che più una cosa materiale è bella, più questa si avvicina all’idea trascendente di essa. Esistono infatti delle ”idee” spirituali e trascendenti di tutte le cose, dalle forme assolutamente perfette, che si concretizzano, prendendo forma nella realtà immanente, creando gli oggetti materiali che ci circondano, dall’albero, alla pietra, al fiume, alla nuvola.
Non starò qui a tediarVi con una disquisizione su come ciò avviene e sulla potenza del logos, cioè della parola, che all’inizio del Vangelo di Giovanni (punto in cui è aperto il volume della Legge Sacra sullo scranno del Maestro Venerabile) è definita Verbo e identificata col Cristo. Deborderei dall’oggetto prefissatomi.
Quello che mi preme farVi notare è invece che se pure ogni pietra è diversa dall’altra, tutte hanno delle caratteristiche comuni proprie del concetto trascendente di pietra. Più una pietra assomiglia a questa ”idea” teorica, più è perfetta, più è bella. Di conseguenza, lo scopo del saggio è proprio quello di andare a ricercare il concetto posto alla base, nella natura stessa delle cose, quella forma trascendente che al tempo stesso è immanente al creato, permeandolo.
Orbene l’umanista citato dal Gran Maestro, riconoscendo come corretta la teologia cristiana nella parte in cui identifica il trascendente con il divino, di fatto amalgama e riunisce insieme la perfezione dell’idea spirituale di ogni cosa con la perfezione del divino. Con la conseguenza che a suo avviso è solo in Dio che possiamo individuare la vera bellezza e che, al tempo stesso, ammirando la bellezza della natura altro non facciamo che contemplare la grandezza di Dio.
! Quanto allora diventa importante nel percorso muratorio lo studio dei ”misteri occulti della natura e della scienza”!
Tale ricerca, alla luce del pensiero di Ficino, altro non è se non la scoperta del sottile disegno del Creatore, della trama trascendente e divina sottesa alla materialità dell’universo.
Ma il mondo non è fatto solo di cose. L’entità più bella che in esso è dato di trovare è l’uomo.
Va da sé che la bellezza dell’uomo non è solo quella materiale, che pure per gli antichi greci era molto importante, tanto da teorizzare il concetto di “calogagazia” per cui la persona bella esteriormente (intesa come proporzionata ed armonica) non poteva che essere anche buona.
Fondamentale importanza assume, nell’uomo, la bellezza spirituale.
Nel ”Convivio” Platone la fa così descrivere ad Alcibiade, riferita a Socrate: ”Socrate è simile a quegli armadi fatti a forma di Sileni, esposti nelle botteghe degli scultori (…) che, aperti in due, mostrano nell’interno immagini di dei.” Allo stesso modo, ”le immagini meravigliose che si nascondono in lui sono le virtù”.
La bellezza spirituale, quindi, in altri termini, altro non è se non adesione, nella propria vita, alla pratica delle virtù; il tentativo costante di ascendere verso il trascendente e quindi verso il divino, che per Ficino con esso coincide.
Questo è il compito dei liberi muratori, che proprio con l’iniziazione ”vedono la luce” e da quel momento cominciano un nuovo cammino, che terminerà solo quando raggiungeranno l’ Oriente Eterno, teso a migliorare, smussare, levigare la propria parte spirituale, trascendente, per consegnarla quanto migliore possibile davanti al Trono del Grande Architetto dell’Universo.
Bellissima è l’immagine che Platone mette in bocca a Socrate nel ”Fedro”, ove paragona gli esseri mortali ad anime che hanno perso le ali, che permettevano loro di ”librarsi nell’alto e dominare l’universo intero”, il cui unico vero scopo nella vita è ora quello di ”vivere filosofica-mente con purezza di cuore” per vederle nuovamente spuntare, e così salire verso il divino definito dal filosofo ateniese ”il bello, il vero, il bene e ogni cosa che assomiglia a queste essenze assolute”.
Anime votate a questo scopo è dunque naturale che entrino in sintonia, quasi come se tendessero tutte ad accordarsi sul suono di un unico diapason. E questa armonia le fa convergere insieme, perché è tale la stima reciproca e il desiderio dello scambievole apprendimento e sgrossamento, che spontaneo nasce un vero e proprio sentimento di amore. E’ come se la luce interiore che splende in loro le attirasse le une alle altre come un faro.
Ed è un impulso affettuoso che mai termina, neppure con la morte, restando vivo anche nei confronti di coloro che ci hanno anticipato nell’Oriente Eterno, come ci ricorda il Foscolo ne ”I Sepolcri” quando lo definisce ”celeste corrispondenza d’amorosi sensi”.
Questo sentimento è definito nel ”Simposio” ”Eros celeste” o amore vero, contrapposto all’ ”Eros volgare” o piacere sensuale, ed è una vera e propria manifestazione di amore, che si rivolge alla parte spirituale del fratello iniziato che ci sta accanto e che, nel pensiero ficiniano, rappresenta una forma dell’amore verso Dio, essendo quella parte virtuosa e trascendente della persona umana fatta ad immagine e somiglianza di Dio.
Nulla a questo punto risulta più chiaro che le parole usate da Cicerone nel ”De amicitia”, che qui mi limiterò quindi solamente a riportare, avendo solo l’accortezza di ricordarVi come affrontando questo nostro discorso in ambito massonico, i termini amico e amicizia risultano più corretti se sostituiti con quelli di fratello (o iniziato alla libera muratoria) e fratellanza.
Scrive Cicerone: ”Prima di tutto io penso che non può esserci vera amicizia se non fra i buoni”, da intendersi come ”coloro che si comportano e vivono in modo tale da meritar lode di lealtà, d’integrità, di coerenza, di liberalità, e non hanno in sé ombra di cupidigia, di passioni, di temerarietà, e possiedono inoltre una salda fermezza di propositi”.
”L’amicizia non è altro che un perfetto accordo su tutte le cose divine e umane, accompagnato da benevolenza e amore; e forse, eccettuata la sapienza, è questo il dono più grande che gli dei immortali abbiano fatto all’uomo”.
”L’amicizia non nasce dal bisogno e non tende all’utile; nasce dall’incontro di due anime virtuose che irresistibilmente si attraggono e che, nell’esercizio della virtù, ascendono insieme alla perfezione. L’utilità non è la causa, ma bensì l’effetto della amicizia”.
”Nella vera amicizia non c’è nessuna finzione e nessuna simulazione; tutto quello che c’è, è tutto sincero e spontaneo”.
”La verità nutre l’amicizia, l’adulazione l’uccide. La natura ha concesso all’uomo due grandi beni: primo la virtù, fondamento primo e meta ultima della vita; secondo, l’amicizia, che dalla virtù discende e alla virtù conduce”.
”Comandamento supremo della amicizia è non chiedere mai all’amico e non fare mai per l’amico una cosa disonesta. Nell’ambito dell’onesto, promuovere con zelo, e anche con sacrificio, il bene materiale e morale dell’amico.” ”Non aspettar neppure di essere richiesti: premurosi sempre, esitanti mai.”
”Fondamento e limite dell’amicizia è l’integrità del carattere e l’irreprensibilità della condotta”. ”La vera amicizia (…) non bada con scrupoloso rigore a non dar più di quanto riceve.”
! ”Quante cose che non faremmo per amor nostro, le facciamo per amore dell’amico!” ”Rivolgere preghiere e porgere suppliche a un indegno, e viceversa inveire aspramente contro qualcuno e assalirlo con violenza, tutte cose che, trattandosi di noi, non sarebbero dignitose a farsi, diventano dignitosissime, quando si tratti degli amici. E ci sono molte circostanze in cui gli uomini buoni si spogliano di gran parte dei propri vantaggi, o se ne lasciano spogliare, perché ne godano gli amici piuttosto che essi stessi.”
E’ dunque breve il passaggio dal laico Cicerone al religioso San Paolo, secondo cui per il credente, cioè per colui che segue le virtù indicate come vere nel Volume della Legge Sacra, ”al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione”.
Lasciatemi fare, in conclusione, un’ultima considerazione di tipo metodologico. Tutti gli scritti citati stasera, il Simposio, il Fedro e il De Amicitia, sono redatti in forma dialogica. Sono cioè la trascrizione di dialoghi (forse in parte immaginari) fra persone. Addirittura il Simposio racconta di un giro di opinioni sul concetto di Eros tra famosi greci dell’antichità, seduti intorno a un tavolo, al termine di un’agape, nel quale è correttamente tollerata una sola replica a testa, perché non di dibattito trattasi, ma di apporto comune all’unanime ricerca della verità.
Questo rende ancora più evidente l’assoluta validità, anche in ambito massonico, del metodo dialettico, soprattutto per quanto riguarda il confronto comune sulle tavole, inteso come modello di elevazione individuale, ottenuta proprio grazie allo scambio di opinioni e al reciproco ascolto nella tolleranza, nel fine comune della crescita interiore di ciascuno dei fratelli.