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LA MORALE LIBERO MURATORIA E I PRINCIPI COSTITUZIONALI: UN’IPOTESI DI CONFRONTO
Il Prezioso contributo di un Fratello che ha messo a disposizione le sue considerazioni in un Lavoro presentato in Loggia.
Lo scopo di questa tavola è dunque quello di mettere in comune con Voi quello che è stato uno degli approfondimenti intellettuali che l’ingresso nella Libera Muratoria mi ha necessitato, per sottoporVi le conclusioni cui sono giunto e chiederVi un contributo dialettico circa la soluzione delle questioni che mi sono posto, con conseguente verifica dei risultati a cui sono giunto.
Per mia personale forma mentis sento la forte necessità della coerenza tra il mio pensiero e le mie azioni. Le mie convinzioni devono necessariamente trovare concreta applicazione nel mio operato, anche se questo può portarmi ad evitare facili scorciatoie che potrebbero ottenermi una forse superficiale approvazione da parte del sentire comune, facendomi assumere, a volte, posizioni scomode o “di principio” che i più potrebbero considerare anacronistiche o poco utili per la mia integrazione sociale o professionale.
In quest’ottica già una volta mi trovai a valutare se una scelta che avevo fatto, afferente la mia vita latu sensu lavorativa e professionale, poteva conciliarsi con il mio io più profondo, con le mie convinzioni etiche e morali, con la cultura classica che permea il mio sentire, e, soprattutto, con la mia Fede.
Sono costretto a tornare col pensiero esattamente a 30 anni fa, al marzo del 1985, quando allora giovane allievo ufficiale di complemento, dopo aver prestato solenne giuramento di “essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le Leggi e di adempiere con disciplina ed onore a tutti i doveri del mio stato”, montai di guardia per la prima volta alla riservetta munizioni, col mio Garand in braccio e tanto freddo addosso.
Se qualcuno si fosse avvicinato troppo, avesse ignorato i miei “Altolà, fermo o sparo!” e avesse cercato di introdursi nel piccolo bunker su cui dovevo vigilare, sarei stato pronto a sparare e, se necessario, ad uccidere?
Furono ore, giorni, di grande conflitto interiore.
Come si conciliava il mio ineludibile precetto di “non uccidere” con il mio giuramento di adempiere ai miei doveri nel rispetto della Legge.
Dopo una lunga e tormentata riflessione mi resi conto che in realtà non c’era contrasto tra il mio modo di sentire da un lato ed il rispetto delle mie consegne dall’altro, perché l’eventuale sacrificio di quella unica vita era giustificato dalle altre vite innocenti che col mio operato, seppur in astratto, avrei salvato. Quell’eventuale definitivo gesto rientrava nel compasso delle mie capacità e del mio sentire.
Fu così che non diventai un disertore ma un giovane ufficiale di artiglieria controaerei.
Fortunatamente, in concreto, non ho mai dovuto sparare a nessuno, ma fin da allora maturai la decisione di non chiedere mai il porto d’armi, perché un conto è fare fuoco per difendere la Patria, un altro solo per proteggere la mia persona.
La stessa verifica tra ciò che sono e quello che vorrei o dovrei diventare l’ho fatta al momento in cui ho deciso di entrare in Massoneria e soprattutto quando ho dovuto assumere l’impegno solenne di fare parte della Nostra Obbedienza, all’atto della mia iniziazione.
Certo, una volta divenuto un Apprendista Ammesso Libero Muratore sono stato esortato a sottomettermi con la dovuta obbedienza alle leggi dello Stato in cui vivo e ad essere fedele al Capo della mia Nazione natia ma, mi son chiesto, quelle parole rappresentavano solo una mera petizione di principio, poi sconfessata dalla concreta attualità del vivere massonico, o integravano davvero un precetto vincolante e concreto, che garantiva veramente il rispetto delle mie più intime convinzioni e del giuramento che prestai il 23 febbraio 1985 di “essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le Leggi”?
Da qui il progetto odierno che sottopongo alla Vostra ponderazione.
E’ ovvio che l’argomento oggetto di questa analisi è così vasto e la mia conoscenza degli antichi misteri così limitata, che sono costretto a concentrare la mia attenzione esclusivamente sui principi evincibili dal nostro rituale ed in particolare dalla Cerimonia di iniziazione e dalla successiva esortazione.
Già dal primo sommario esame del Rituale Emulation, così come mi ha fatto notare un Fratello a, appare in primo luogo evidente come lo stesso termine “morale liberomuratoria” non sia tutt’affatto corretto, ma debba essere inteso come etica liberomuratoria.
Non ci troviamo infatti davanti ad una serie di rigide regole morali che ci prescrivono ciò che è bene e ciò che è male, ma a mere indicazioni di natura etica che ci mostrano la strada più giusta per la nostra progressiva elevazione.
La prima dichiarazione infatti che viene posta sulle labbra all’ancora bussante all’ingresso nel tempio è quella di essere “libero e di buona reputazione”.
La libertà cui fa riferimento prima il Copritore Interno e poi il Maestro Venerabile e che si pretende dal candidato non è tanto quella di non essere sottoposto ad un regime giuridico di schiavitù, ma è la libertà del proprio pensiero, la assoluta e incondizionata capacità di critica, il non essere vincolato a schemi mentali o servo di pregiudizi o, peggio ancora, succube di condizionamenti profani, politici o religiosi.
Le emozioni troppo forti, gli interessi materiali, i metalli insomma non devono costituire per il massone un limite. Sono catene che egli via via deve spezzare nel suo cammino di perfezionamento.
Oltre ad essere libero, il candidato deve essere “di buona reputazione”. Quello che gli si chiede è quindi di godere di una buona considerazione da parte delle persone che lo circondano. Deve già essere una persona onesta e rispettabile nel mondo profano da cui proviene.
Egli, una volta divenuto un fratello massone, come si legge ne “I doveri di un libero muratore” statuiti dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, letti al nuovo fratello al suo rientro nel tempio, “è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli intende rettamente l'Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso”.
E’ evidente che il contenuto della reputazione o la morale richiamate nel corso del rito di iniziazione non corrispondono ad una specifica morale che possiamo individuare nel mondo profano o in una data e specifica religione.
Esse sono integrate dalla “pratica di ogni virtù morale e sociale” e cioè nell’:
1. agire verso il prossimo secondo l’insegnamento della Squadra, essendo disponibile nei suoi confronti secondo Giustizia e Misericordia,
2. comportarsi verso gli altri come si vorrebbe che gli altri si comportassero con noi stessi,
3. usare una prudente e regolata condotta di vita, conservando le proprie facoltà fisiche e mentali,
4. adempiere in modo esemplare ai propri doveri civili,
5. sottomettersi alle leggi ed alle istituzioni,
6. praticare le virtù domestiche,
7. essere prudenti, temperanti, forti e giusti,
8. esercitare la benevolenza e la carità verso gli altri, fratelli o profani che siano.
E’ lampante che quindi i buoni costumi richiesti attengono a questo genere di comportamenti, sussumibili in due regole generali da un lato esercitare la disponibilità verso l’altro, derivante dal nostro essere “animali sociali”, soggetti dotati di intelletto inseriti in un contesto sociale all’interno del quale rifuggere l’approccio espresso dal brocardo “homo, homini lupus”, e dall’altro esprimere la compostezza, la serietà, la regolarità, derivanti peraltro dalla stessa espressa pretesa di libertà, che comporta necessariamente, quale naturale conseguenza, il rispetto dell’altro, anche nel proprio porsi all’esterno della propria individualità, nel relazionarsi con lui.
Rispetto che quindi non può mai essere scisso dalla costante pratica della tolleranza che altro non è se non l’esercizio “a contrario” della libertà stessa.
In quest’ottica va letta l’esortazione a non trattare in loggia alcuna cosa “inopportuna o sconveniente”. L’atteggiamento del massone, in particolare con i fratelli, va improntato ad evitare di metterli in una situazione di imbarazzo, per non turbare la loro serenità e quindi l’esercizio della loro libertà.
Questo però non significa astenersi dall’esprimere il proprio pensiero, al di fuori degli argomenti afferenti la politica e la religione, in modo pacato, rispettoso e motivato.
Lo stesso approccio richiesto al libero muratore nei confronti del Grande Architetto Dell’ Universo è improntato alla più assoluta libertà di pensiero.
Al massone è infatti richiesto di riporre la propria fiducia nel GADU, di rispettarlo e venerarlo così come ogni creatura venera il suo creatore, invocando il suo aiuto e confidando nella sua consolazione.
Ma non è indicata alcuna delle personificazioni del GADU come giusta. Non vi è nessuna scelta tra il Dio uno e trino dei cristiani, Jahvè, Allah, il Creatore Sikh o gli altri Esseri supremi venerati nelle altre religioni monoteistiche.
Libera è la scelta del Dio in cui credere, libera di conseguenza la scelta del Volume della Legge Sacra, del testo frutto della rivelazione divina, guida alla verità e alla giustizia, contenente la raccolta dei precetti divini cui attenersi.
Parimenti libera poi, a maggior ragione, sarà l’interpretazione che ciascuno è chiamato a dare al Libro, in quanto non esiste, in Massoneria, una interpretazione autentica ed ortodossa di questo (mutuata semmai da quella fornita da questo o quel credo religioso), da contrapporre ad un’altra errata ed eretica.
Le religioni del mondo restano fuori dal tempio. Al suo interno si trova solo, immutabile ed imprescindibile il GADU, il principio stesso della trascendenza, la necessità per il massone di relazionarsi ad una realtà suprema alla cui assoluta perfezione deve tendere all’infinito.
Questa immanente libertà fa sì che tutti i principi etici cui il libero muratore è tenuto a conformarsi siano di natura relazionale, riguardino cioè il suo modo di porsi con gli altri, costantemente in equilibrio tra disponibilità e rispetto, tra espressione del proprio sentire e tolleranza.
Diversamente dalla morale comune o dalle morali delle varie religioni, non troveremo delle indicazioni sul modo in cui bisogna essere.
E’ in quest’ottica che deve leggersi, a titolo d’esempio, quanto un Fratello riferiva agli apprendisti e , q ci rendeva edotti del fatto che mentre le donne non sono ammesse in Massoneria, al contrario, vi sono ammessi gli omosessuali.
L’orientamento sessuale di una persona, infatti, è un elemento che attiene alla sua sfera personalissima ed intima; è al di fuori di ogni apprezzamento, circa la sua conformità o meno alla onestà, alla rettitudine e alla giustizia. Esso invero costituisce un fattore neutro, del tutto irrilevante.
Ciò comporta che oggetto di verifica, circa la rispondenza ai valori etici libero muratori, sarà riservata solo ai comportamenti agiti dal fratello, i quali verranno vagliati con i medesimi criteri utilizzati per i rapporti eterosessuali, e quindi: la presenza di amore, la fedeltà, il rispetto dell’altro, lo spirito di dedizione, la comunanza di intenti, l’assenza di interessi di ordine materiale, la libera adesione da parte di un soggetto maturo e consenziente.
Mi rendo conto che non è sempre stato così, solo un secolo fa l’omosessualità in Inghilterra (diversamente da quanto accadeva in Italia) era reato e quindi costituiva una condotta considerata disonesta e quindi inaccettabile.
Ma la nostra istituzione, che definiamo millenaria, è sopravvissuta ai secoli proprio perché pur restando sempre nell’alveo della tradizione, si è anch’essa via via perfezionata ed evoluta nella tensione generale verso l’assoluto.
Basti pensare che, come faceva notare il Fratello Giuliano Zamboni leggendo una tavola in occasione della Tornata n. 108 della Loggia Spazio Tempo n. 11 di Bologna, persino il Rituale Emulation è costantemente oggetto di evoluzione, tanto che pochi anni fa è stata modificata la cerimonia di iniziazione e sostituito il precedente giuramento formulato dal candidato con un solenne impegno; e questo allo scopo di non mettere in difficoltà i fratelli le cui credenze morali o religiose personali vietavano di giurare.
Quest’ulteriore concretizzazione dei principi base del rispetto e della tolleranza, figli prediletti della libertà, ci indica la strada da seguire.
Orbene, dunque, questa etica liberomuratoria, che è emersa dalla breve analisi che ho condotto, è coerente con i principi costituzionali ai quali ho giurato di essere fedele?
Assolutamente sì.
Pare quasi che la Costituzione della Repubblica Italiana in tanti punti risuoni come un diapason, quasi a cercare una perfetta sintonia con la melodia che si eleva dalle parole del nostro rituale.
La nostra Legge delle Leggi ci indica agli artt. 1 e 4 la via del lavoro come metodo di realizzazione dell’uomo.
Ci impone all’art. 2 il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, che sono il diritto alla vita, alla salute, alla libertà personale, alla sicurezza, alla libertà di pensiero, di opinione, di culto, di istruzione, il diritto al nome, all’onore, alla propria identità personale, sia come singolo individuo, sia all’interno della propria famiglia, sul luogo di lavoro, in tutti gli ambienti in cui viva e si realizzi la sua personalità.
E tutto questo nella più totale eguaglianza sia formale che sostanziale. All’art. 3 il Costituente impone infatti che a tutti venga riconosciuta pari dignità sociale senza distinzioni. E il divieto di discriminazione piano piano si arricchisce sempre di nuovi criteri, tanto che con l’adesione del Nostro Paese al Trattato di Lisbona sono state recepite le indicazioni della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che all’art. 21 sancisce come “vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o l’orientamento sessuale”.
Non solo la Costituzione, sempre all’art. 3, impone la solidarietà fra i cittadini e in quest’ottica, all’art. 42, assegna alla proprietà privata una funzione sociale, riconoscendola come accessibile a tutti e prevedendo all’art. 53 che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
All’art. 11, poi, la nostra Carta Costituzionale ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, quasi a volerci ricordare il principio della fratellanza universale proprio della Massoneria.
Giustizia, libertà, solidarietà, rispetto ed equità sono i principi guida della Nostra Repubblica. Una perfetta consonanza con l’etica liberomuratoria così come evincibile dalla Cerimonia di iniziazione del primo grado.
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